A 12 anni dalla sua approvazione, la legge obiettivo continua a presentare un quadro realizzativo profondamente contraddittorio. Se finalmente è stato delineato un gruppo di opere strategiche prioritarie e la fetta di gran lunga più consistente di risorse confluisce ormai su un numero molto ristretto di interventi, il numero di opere concluse resta il 13% del totale (era il 10% un anno fa), il perimetro degli interventi è stabilizzato nei numeri complessivi (375 miliardi di costo totale, 403 opere, 1.359 lotti) ma c’è un viavai di opere (è uscito un pezzo da novanta come il Ponte sullo stretto per 8,55 miliardi) e la programmazione appare sempre più caotica e frammentaria: entrano programmi di piccole opere (6mila campanili) e di manutenzioni stradali e ferroviarie, cambiando profondamente il dna della legge, ma potrebbero presto riuscirne come successo in passato con le piccole opere del Sud e altri programmi per 89 miliardi, vengono definanziate, sia pure momentaneamente, opere prioritarie come Mose e Terzo valico per far posto a un criterio che premia gli interventi cantierabili; la cantierabilità, appunto, diventa il cuore del programma, perdendo spesso totalmente di vista altri criteri di priorità; le opere il cui progetto sia stato approvato dal CIpe restano ferme al 38% del totale del programma, la copertura finanziaria al 44% (per una cifra tutt’altro che trascurabile di 163 miliardi di euro; crescono da 53 a 57 miliardi i finanziamenti privati del programma proprio nel momento in cui il Project financing incontra difficoltà congiunturali pesantissime: -40% di bandi nel 2012 e -34% nel 2013).
L’occasione per fare il punto sullo stato di attuazione della legge obiettivo è stata ieri la presentazione alla commissione Ambiente della Camera dell’ottavo rapporto sulla legge, realizzato dal Servizio studi della Camera, in collaborazione con l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici e il Cresme (la sintesi).
«Non basta aver introdotto nel programma della legge obiettivo le manutenzioni Anas o le piccole opere, manca un disegno organico che dica dove vogliamo andare», sintetizza il presidente della commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci (clicca qui per l’intervista). «Apprezzo che il ministro Lupi abbia revocato le risorse alle opere bloccate e abbia dato attenzione ai piccoli comuni – continua – ma non possiamo fermarci al darwinismo realizzativo. La revoca di risorse ha favorito opere cantierabili senza alcun criterio di priorità e il piano dei 6mila cantieri è stato uno “svuotacassetti”, non un primo passo verso una cultura di manutenzione del territorio».
Anche nel rapporto si evidenzia che il criterio di cantierabilità è alla base delle scelte di governo dell’ultimo anno. L’imperativo categorico è aprire i cantieri in questa fase, anche correggendo errori originari della legge obiettivo. Si rischia, però, di perdere di vista una strategia che nel medio periodo potrebbe dare sviluppo e occupazione. Lo sottolinea ancora Realacci. «Se dovessi dire io quale debba essere il cuore strategico del Jobs act del Pd e del nuovo contratto di governo, sceglierei una politica di riorientamento dell’edilizia che è l’unico settore a poter garantire un rilancio della domanda interna: perché qui si è prodotta la più pesante riduzione di occupazione, oltre 500mila unità, ma anche perché c’è la possibilità di aprire una nuova stagione puntando sulla domanda di manutenzione del territorio, efficienza energetica, sicurezza antisismica, bellezza. I vecchi strumenti non funzionano, se con la legge obiettivo siamo fermi, dopo 12 anni, al 13% di opere ultimate rispetto a quelle programmate, ma anche le innovazioni introdotte in quel programma sono troppo timide».